QUANDO LA SCUOLA “DIAGNOSTICA”
L’AZZARDO DEGLI INSEGNANTI E LE CONSEGUENZE NASCOSTE
Nel mondo dell’apprendimento, gli insegnanti sono senza dubbio coloro che hanno la possibilità di osservare con più costanza e attenzione i progressi o le difficoltà degli studenti.
Questo consentirebbe di indirizzare meglio il proprio lavoro, dedicandosi magari a coloro che presentano più problematiche, o aggiustando il proprio stile d’insegnamento. Purtroppo però, nella maggior parte dei casi, non fa altro che giustificare o motivare una tendenza, sempre più frequente, ad azzardare e suggerire ai genitori possibili interpretazioni diagnostiche.
Negli ultimi tempi, una difficoltà scolastica tende ad essere troppo spesso associata direttamente a un disturbo da individuare, diagnosticare e trattare.
Cerchiamo però, per un attimo, di aprire un po’ di più gli occhi e osservare la cosa da un punto di vista più ampio.
Le molteplici cause delle difficoltà scolastiche
Un bambino che non riesce a stare concentrato a scuola, che fa fatica ad apprendere, che è distratto o mostra poco interesse, potrebbe avere alle spalle una miriade di situazioni.
Tra queste, alcune sono più frequenti di altre.
I PROBLEMI IN FAMIGLIA
In famiglia possono essere presenti situazioni difficili per un bambino o un ragazzo, come un divorzio dei genitori, una situazione particolarmente stressante a casa, un lutto. In questo caso le difficoltà dello studente sono destinate a essere transitorie, se accolte e gestite nel modo adeguato.
Purtroppo, spesso, questo non avviene e l’insegnante si appresta a segnalare ai genitori un possibile deficit del figlio.
Il risultato è quello di caricare la famiglia di un altro (inutile) problema e di stressare ulteriormente lo studente, peggiorandone la condizione.
IL RUOLO CHIAVE DEL METODO DI STUDIO E LE LACUNE PREGRESSE
Nel caso in cui, invece, il problema non sia legato a particolari problemi a casa, i motivi di uno scarso rendimento scolastico potrebbero essere comunque numerosi.
Prima di tutto, può mancare un efficace metodo di studio, in grado di insegnare allo studente come individuare e superare le barriere che ostacolano l’apprendimento. Applied Scholastics offre proprio questa possibilità.
In una condizione ideale, un insegnante ottimamente formato dovrebbe conoscere tale tecnologia di studio e fornirla ai suoi studenti. Una possibilità potrebbe essere quella di accordarsi con la direzione e organizzare uno speciale corso, possibilmente al di fuori dell’orario scolastico, per un breve periodo. In tal modo, i ragazzi avrebbero tra le mani un metodo di studio efficace, da applicare durante l’anno scolastico e in quelli successivi.
Uno studente che non riesce a raggiungere i risultati attesi potrebbe anche avere grandi lacune che si porta dietro dagli anni passati. In quel caso l’insegnante farebbe bene a preoccuparsi esclusivamente di sanare tali lacune, con il migliore metodo di studio.
LE BARRIERE LINGUISTICHE E CULTURALI
Le classi italiane vedono una presenza sempre maggiore di bambini originari di altri Paesi. In tal caso può essere facile scontrarsi con barriere non solo linguistiche, ma anche culturali.
Non è il caso di fare della facile retorica, pensando subito a famiglie provenienti da Paesi più in difficoltà del nostro: la Finlandia, per esempio, ha un sistema scolastico (considerato tra i migliori del mondo) completamente diverso da quello italiano e un ragazzo finlandese trasferitosi in Italia potrebbe avere grandi difficoltà nell’adattarsi alla nuova realtà.
DIDATTICA NON ADEGUATA E IL DESTINO DEGLI STUDENTI “RIMASTI INDIETRO”
Ultimo, ma non ultimo, la didattica non adeguata. Purtroppo il compito principale che viene dato agli insegnanti è quello di portare a termine il programma scolastico.
Quest’ottica lascia alle spalle una vera ecatombe: molti studenti, come detto prima, si portano dietro importanti lacune, quindi non riusciranno a stare dietro al programma; altri potrebbero inciampare durante l’anno scolastico, ma non sarà possibile aspettarli e dedicare troppo tempo allo stesso argomento; una minima quantità riuscirà a sopravvivere, portandosi a casa un voto decente a giugno.
Qual è il destino di tutti coloro che sono rimasti indietro e che spesso “vincono” una segnalazione da parte del docente?
Una diagnosi fa in modo che al ragazzo venga dato un programma personalizzato, spesso molto semplificato rispetto alla classe. Talvolta si accompagna a un insegnante di sostegno.
Cosa abbiamo allora? Abbiamo un insegnante che ha delegato il suo lavoro a qualcuno o qualcosa che farà sentire il ragazzo meno abile degli altri.
In questo modo sarà più facile riuscire a spiegare tutto il programma entro la fine dell’anno scolastico.
L’ombra dell’etichetta: il pericolo dell’effetto Pigmalione
Quando un bambino viene etichettato con un disturbo, anche solo a livello informale o come un “dubbio” espresso dall’insegnante, si innesca un meccanismo chiamato “effetto Pigmalione” (o la “profezia che si autoavvera”). Questo fenomeno dimostra come le aspettative, che in questo caso un adulto (insegnante o genitore) ha nei confronti di un bambino, possano influenzare significativamente le performance reali di quel bambino.
Se un insegnante crede, anche inconsciamente, che uno studente abbia una qualche difficoltà, può finire per trattarlo in modo diverso: offrendo meno sfide, interpretando le difficoltà come conferme del disturbo, o semplicemente abbassando il livello delle proprie aspettative.
Di conseguenza, il bambino, percependo queste aspettative ridotte e l’etichetta implicita, può interiorizzarle e, senza volerlo, finire per conformarsi a esse.
Invece di lottare per superare una difficoltà transitoria o legata al metodo, potrebbe accettare l’idea di essere “non in grado”, smettendo di impegnarsi e confermando così (erroneamente) le aspettative iniziali. Questo circolo vizioso non solo mina l’autostima e la motivazione dello studente, ma gli nega la possibilità di scoprire il suo vero potenziale e di superare ostacoli che, con il giusto supporto e le giuste aspettative, avrebbe potuto affrontare con successo.
L’insegnante: non facilitatore per pochi, ma guida per tutti
Fare l’insegnante per “quelli bravi” è facile, ma la classe è composta da una grande varietà di persone. Perché allora non impegnarsi per far diventare tutti quanti “quelli bravi”?
L’abilità di un cuoco viene valutata da quanti piatti buoni sa cucinare tra quelli presenti sul menù, non su quanto siano appetitose quelle due o tre portate in particolare.
La bravura di un muratore dipende da quanto bene abbia costruito tutta la casa, non solo il muro d’ingresso e quello della sala.
Allo stesso modo, il valore di un insegnante dipende da quanto ha reso abile tutta la classe, non solo quelli che riescono a stare al passo.
L’insegnamento non è una professione per tutti: è una missione che va portata avanti con dedizione e voglia di rendere i propri studenti degli adulti di valore.
Fortunatamente esistono maestri e professori dediti al loro lavoro, amati dagli studenti e rispettati dai genitori.
Molti altri, però, hanno percorso la via dell’insegnamento con meno motivazione, o meno capacità. Questi, spesso, si riconoscono proprio dalla tendenza a suggerire etichette per i propri studenti.
Quando il giudizio si trasforma in etichetta
Le conseguenze, anche del solo dubbio della presenza di un disturbo, sono distruttive per i ragazzi: viene colpita l’autostima, si sviluppa una percezione di sé negativa, nascono demotivazione e senso di inadeguatezza. Oltre ciò, insegnanti e genitori abbassano la loro aspettativa e quindi non stimolano a sufficienza il ragazzo, dando per scontato che non possa raggiungere determinati obiettivi.
Che adulto potrà mai nascere da questa situazione?
Certamente non uno in grado di affrontare con coraggio e determinazione le sfide che la vita gli presenterà.
La tendenza sempre maggiore degli insegnanti a segnalare possibili etichette non arriva necessariamente da malafede, ma talvolta da scarsa informazione e superficialità.
A ciò si aggiunge un altro fattore critico: i bias di valutazione. Un bias è una forma di distorsione della valutazione causata dal pregiudizio.
Le aspettative, gli stereotipi inconsci o le interpretazioni soggettive possono infatti influenzare pesantemente il modo in cui un insegnante percepisce e valuta le difficoltà di uno studente.
Ricerche come quella di Sideridis et al. (2008), intitolata “Teacher biases in identification of learning disabilities”, hanno rivelato che fattori come il genere dello studente o le convinzioni personali dell’insegnante possano alterare la probabilità di identificazione di un presunto disturbo.
Ignorare queste cause reali in favore di un’etichetta non solo è dannoso per il bambino, ma distoglie l’attenzione dagli interventi pedagogici mirati che sarebbero invece cruciali per il suo effettivo progresso.
Dott.ssa Laura Leonardi